Il Blog di Alfredo Budillon

giovedì, gennaio 08, 2009

Lettera da Ramallah


Lettera amara e disperata di Mustafa Barghouthi (leader democratico palestinese candidato alle elezioni presidenziali nel 2005 e arrivato 2° dietro Abu Mazen).

Ramallah, 27 dicembre 2008.

Leggerò domani, sui
vostri giornali, che a Gaza è finita la tregua.
Non era un assedio
dunque, ma una forma di pace, quel campo di concentramento falciato
dalla fame e dalla sete. E da cosa dipende la differenza tra la pace e
la guerra? Dalla ragioneria dei morti? I bambini consumati dalla
malnutrizione, a quale conto si addebitano?
Chi muore perché manca
l'elettricità in sala operatoria muore di guerra o di pace?
Si chiama
pace quando mancano i missili - ma come si chiama, quando manca tutto
il resto?

E leggerò sui vostri giornali, domani, che tutto questo è
solo un attacco preventivo, solo legittimo, inviolabile diritto di
autodifesa.
La quarta potenza militare al mondo, i suoi muscoli
nucleari contro razzi di latta, e cartapesta e disperazione. E mi sarà
precisato naturalmente, che no, questo non è un attacco contro i civili
- e d'altra parte, ma come potrebbe mai esserlo, se tre uomini che
chiacchierano di Palestina, qui all'angolo della strada, sono per le
leggi israeliane un nucleo di resistenza, e dunque un gruppo illegale,
una forza combattente? - se nei documenti ufficiali siamo marchiati
come entità nemica, e senza più il minimo argine etico, il cancro di
Israele?

Se l'obiettivo è sradicare Hamas - tutto questo rafforza
Hamas.
Arrivate a bordo dei caccia a esportare la retorica della
democrazia, a bordo dei caccia tornate poi a strangolare l'esercizio
della democrazia - ma quale altra opzione rimane? Non lasciate che vi
esploda addosso improvvisa.
Non è il fondamentalismo, a essere
bombardato in questo momento, ma tutto quello che qui si oppone al
fondamentalismo. Tutto quello che a questa ferocia indistinta non
restituisce gratuito un odio uguale e contrario, ma una parola scalza
di dialogo, la lucidità di ragionare
il coraggio di disertare - non è
un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l'altra Palestina,
terza e diversa, mentre schiva missili stretta tra la complicità di
Fatah e la miopia di Hamas. Stava per assassinarmi per autodifesa, ho
dovuto assassinarlo per autodifesa
- la racconteranno così, un giorno i
sopravvissuti.

E leggerò sui vostri giornali, domani, che è
impossibile qualsiasi processo di pace, gli israeliani, purtroppo, non
hanno qualcuno con cui parlare. E effettivamente - e ma come potrebbero
mai averlo, trincerati dietro otto metri di cemento di Muro? E
soprattutto - perché mai dovrebbero averlo, se la Road Map è solo
l'ennesima arma di distrazione di massa per l'opinione pubblica
internazionale? Quattro pagine in cui a noi per esempio, si chiede di
fermare gli attacchi terroristici, e in cambio, si dice, Israele non
intraprenderà alcuna azione che possa minare la fiducia tra le parti,
come - testuale - gli attacchi contro i civili. Assassinare civili non
mina la fiducia, mina il diritto, è un crimine di guerra non una
questione di cortesia.
E se Annapolis è un processo di pace, mentre
l'unica mappa che procede sono qui intanto le terre confiscate, gli
ulivi spianati le case demolite, gli insediamenti allargati - perché
allora non è processo di pace la proposta saudita? La fine
dell'occupazione, in cambio del
riconoscimento da parte di tutti gli
stati arabi. Possiamo avere se non altro un segno di reazione?
Qualcuno, lì, per caso ascolta, dall'altro lato del Muro?

Ma sto qui a
raccontarvi vento. Perché leggerò solo un rigo domani, sui vostri
giornali e solo domani, poi leggerò solo, ancora, l'indifferenza. Ed è
solo questo che sento, mentre gli F16 sorvolano la mia solitudine,
verso centinaia di danni collaterali che io conosco nome a
nome, vita a
vita - solo una vertigine di infinito abbandono e smarrimento. Europei,
americani e anche gli arabi - perché dove è finita la sovranità
egiziana, al varco di Rafah, la morale egiziana, al sigillo di Rafah? -
siamo semplicemente soli. Sfilate qui, delegazione dopo delegazione - e
parlando, avrebbe detto Garcia Lorca, le parole restano nell'aria, come
sugheri sull'acqua. Offrite aiuti umanitari, ma non siamo mendicanti,
vogliamo dignità, libertà,
frontiere aperte: non chiediamo favori,
rivendichiamo diritti. E invece arrivate, indignati e partecipi,
domandate cosa potete fare per noi. Una scuola?, una clinica forse?
delle borse di studio? E tentiamo ogni volta di convincervi - no, non
la generosa solidarietà, insegnava Bobbio, solo la severa giustizia -
sanzioni, sanzioni contro Israele. Ma rispondete - e neutrali ogni
volta, e dunque partecipi dello squilibrio, partigiani dei vincitori -
no, sarebbe antisemita.

Ma chi è più antisemita, chi ha viziato
Israele passo a passo per sessant'anni, fino a sfigurarlo nel paese più
pericoloso al mondo per gli ebrei, o chi lo avverte che un Muro marca
un ghetto da entrambi i lati? Rileggere Hannah Arendt è forse
antisemita, oggi che siamo noi
palestinesi la sua schiuma della terra,
è antisemita tornare a illuminare le sue pagine sul potere e la
violenza, sull'ultima razza soggetta al colonialismo britannico, che
sarebbero stati infine gli inglesi stessi? No, non è antisemitismo, ma
l'esatto opposto, sostenere i tanti israeliani che tentano di scampare
a una nakbah chiamata sionismo. Perché non è un attacco contro il
terrorismo, questo, ma contro l'altro Israele, terzo e diverso, mentre
schiva il
pensiero unico stretto tra la complicità della sinistra e la
miopia della destra.

So quello che leggerò, domani, sui vostri
giornali. Ma nessuna autodifesa, nessuna esigenza di sicurezza. Tutto
questo si chiama solo apartheid - e genocidio. Perché non importa che
le politiche israeliane, tecnicamente, calzino oppure no al millimetro
le definizioni delicatamente cesellate dal diritto internazionale, il
suo aristocratico formalismo, la sua pretesa oggettività non sono che
l'ennesimo collateralismo, qui, che asseconda e moltiplica la forza dei
vincitori.
La benzina di questi aerei è la vostra neutralità, è il
vostro silenzio, il suono di queste esplosioni.
Qualcuno si sentì
berlinese, davanti a un altro Muro.
Quanti altri morti, per sentirvi
cittadini di Gaza?

trad. Francesca Borri


 

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